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Bernhard Jope

da Storia Illustrata, settembre 1973

 

Dieci anni passati nella Luftwaffe, prima come pilota e poi alla guida di un Gruppo di aerei da bombardamento, da altri diciotto vola con il grado di comandante della Lufthansa, sulle rotte transcontinentali. Ha percorso in aereo centinaia di migliaia di chilometri, eppure confessa sinceramente che gli dispiacerà molto abbandonare i Boeing 707 con cui vola regolarmente a Karaci, Bombay, in Australia o in Canada.

E nato nel 1914 a Lipsia, vive a Maibach, un paesino di poco più di duecento abitanti a circa sessanta chilometri da Francoforte. Da pochi anni si è sposato per la seconda volta. Nella città dove è nato e ha trascorso la prima giovinezza, a Lipsia, non è più tornato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, perché la città è rimasta compresa nel territorio della Germania Est.

Sul terrazzo della sua villa circondata da un piccolo prato all'inglese, Jope racconta di essere entrato nell'aviazione della Germania nazista nel 1935, e di avere combattuto per tutta la durata della guerra prima in Polonia, poi in Francia, in Norvegia, di nuovo in Francia dove nel 1945 fu catturato dai francesi. Era soltanto un soldato, uno dei tanti che avevano combattuto in difesa del Terzo Reich. Fu liberato dopo poche settimane di detenzione e, in luglio poté rientrare in patria.

La guerra era finita, la Germania sconfitta non aveva più aviazione, né militare né civile. Jope non conosceva che un mestiere, pilotare aerei: dovette ritornare a scuola, prendere la laurea in ingegneria, e come ingegnere lavorare alcuni anni nell'edilizia. Nel 1955, rispondendo a un invito della ricostruita Lufthansa ritornò a volare, pilotando gli aerei destinati alle rotte transoceaniche. Per cinque anni è vissuto in Sud America, volando dal Cile a New York, e di qui in Brasile. Nel 1971 è rientrato in Germania, l'anno prossimo andrà in pensione per raggiunti limiti di età, e sarà costretto a lasciare l'aviazione.

Dal giorno lontano in cui guidò un gruppo di bombardieri sulla Flotta italiana che da La Maddalena dirigeva a Minorca sono passati trent'anni. Alto, stempiato, il corpo un po' appesantito dall'età, Bernhard Jope dice di ricordare bene l'azione. Affabile, sicuro di sé, risponde cortesemente alle nostre domande.



D.: Come e da chi fu comunicato l'ordine di bombardare le navi italiane?

Jope: il 6 o 7 settembre 1943 fui chiamato al Comando di Gruppo, e il comandante, che credo fosse il generale Richtofen, mi ordinò di preparare l'azione contro la Flotta italiana, dandomi tutte le istruzioni del caso. Fu però soltanto due ore prima dell'attacco che, come comandante di Gruppo, ricevetti l'ordine di levarmi in volo, e con me gli aerei del Gruppo che comandavo.



D.: Che cosa sapeva della"bomba FX 1400? L'aveva già usata nel corso di altri bombardamenti?

Jope: Della bomba, che dalle iniziali del suo nome in codice avevamo soprannominata Fritz, conoscevamo soltanto gli effetti teorici, e il metodo di puntamento radio-guidato mediante un piccolo congegno sistemato nella coda dell'ordigno, che serviva a dirigere la bomba stessa fino al bersaglio, con una certa approssimazione. L'FX 1400 era un'arma segreta, che prima era stata sperimentata in Germania, e che veniva usata per la prima volta contro un nemico proprio in occasione del bombardamento della Flotta italiana. Il Gruppo di aerei che comandavo era il solo a esserne armato. A Istres-Marsiglia c'era un altro Gruppo di bombardieri che aveva in dotazione un'altra arma segreta, una bomba razzo radioguidata chiamata Henschel 293, ma l'FX 1400 era in dotazione solo agli aerei del mio Gruppo,



D.: Perché proprio lei con il suo Gruppo foste prescelti per quella missione? C'era qualche motivo particolare?

Jope: Date le caratteristiche del bersaglio, navi da guerra pesantemente corazzate, il Comando della Luftwaffe ritenne che solo con l'FX 1400 sì avesse buone possibilità di fare centro. Fu scelto il mio Gruppo perché era il solo armato con quel tipo di bomba, che doveva essere sganciato da grande altezza. Avrebbe potuto toccare a qualsiasi altro comandante di Gruppo, se si fosse trattato di una azione normale, ma in quel caso specifico l'ordine fu invece dato a noi.



D.: Che tipo di aerei c'erano, nel suo Gruppo, e quanti?

Jope: Erano bimotori Dornier del tipo 217 K. A Istres-Marsiglia ogni Gruppo era composto da 80 o 100 aerei, ma all'azione contro la Flotta italiana, ai miei ordini, non parteciparono che 10 o 12 aerei in tutto.



D.: Riteneva possibile incontrare aerei italiani a difesa delle navi da guerra?

Jope: Era forse possibile che ci fossero aerei italiani, ma nessuno mi aveva detto nulla in proposito, e personalmente non lo ritenevo probabile.



D.: Ricorda come si svolse l'azione, quando furono avvistate le navi, e che cosa fecero gli aerei del Gruppo durante l'attacco?

Jope: Ricordo benissimo l'insieme delle navi, quattro o cinque da battaglia, e intorno le altre più piccole, un convoglio di venti o venticinque navi in tutto. Venivamo da Est, volavamo da circa un'ora e mezza. Erano le prime ore del pomeriggio quando avvistammo la squadra, e quando fummo sicuri che si trattava proprio della Flotta italiana ciascuno di noi si preparò a fare quello che gli era stato ordinato. Con tutti gli aerei a poca distanza gli uni dagli altri, sorvolammo l'obiettivo, e cercammo una buona posizione di attacco. Ciascun pilota scelse il proprio bersaglio, ma come avevamo fatto per tutto il volo senza usare troppo le comunicazioni radio, perché altrimenti il nemico, gli italiani - dico - avrebbero potuto intercettarle, e sarebbe mancata la sorpresa. Poi il primo che avrebbe iniziato il bombardamento comunicò agli altri che iniziava il bombardamento, e ciascun aereo incominciò a sganciare le bombe, cercando poi di dirigerle con la radioguida sul bersaglio prescelto.



D.: Temeva che qualcuno degli aerei del Gruppo potesse essere colpito dalle artiglierie delle navi italiane?

Jope: No. Non conoscevo i calibri della contraerea italiana, ma sapevo che potevano sparare a una distanza di circa 4.000 metri. E il mio aereo, e quelli del mio Gruppo, volavano a circa 5.000 metri perché quella era l'altitudine ottimale per poter dirigere via radio la bomba. Quindi avevamo un buon margine di sicurezza. Ricordo di aver visto molti proiettili esplodere al di sotto di noi, ma sempre a una notevole distanza, e naturalmente senza procurarci alcun danno.



D.: Riteneva legittimo il bombardamento?

Jope: Era una normale azione di guerra, non credo di essermi mai posto il problema se fosse giusto o meno. D'altra parte gli italiani erano diventati nostri nemici, e avevo ricevuto l'ordine di bombardarli. Non c'era nient'altro da fare.



D.: Fu la bomba sganciata dal suo aereo a colpire la Roma o l'Italia?

Jope: No, non sono stato io. Furono altri due piloti del mio Gruppo, dei quali adesso non ricordo neppure il nome.



D.: Sapeva che molti uomini sarebbero morti per causa sua, o a causa delle bombe lanciate dagli aerei del suo Gruppo. Che cosa ne pensava?

Jope: Non mi sono mai posto il problema, e credo neanche gli altri piloti. Era un'azione di bombardamento, con un bersaglio speciale, per il quale eravamo stati prescelti proprio perché i nostri aerei erano armati di bombe speciali, adatte allo scopo. Tutto qui.



D.: Che cosa vide, dopo aver sganciato la bomba?

Jope: Non ci accorgemmo subito di avere colpito le due navi italiane. Non potevamo rimanere sul posto molto tempo, né potevamo vedere con esattezza quanto succedeva, data l'altezza a cui volavamo. Dovevamo ritornare immediatamente a Istres-Marsiglia, e poi ciascuno di noi aveva l'impressione d'avere colpito il proprio bersaglio.



D.: Era molto difficile, con i mezzi di puntamento in dotazione alla Luftwaffe, essere sicuri di avere centrato l'obiettivo?

Jope: Dipendeva dall'altezza da cui era effettuato il bombardamento. È vero che avevamo in dotazione delle bombe speciali, un'arma segreta che avrebbe dovuto essere radioguidata fino al bersaglio, ma era la prima volta che veniva impiegata in azione, e i risultati non furono quelli che ci eravamo aspettati.



D.: Che cosa fece al suo ritorno a Istres-Marsiglia, e quando seppe che aveva affondato la Roma?

Jope: Prima impiegammo un'altra ora e mezza di volo per raggiungere la base, e immediatamente una parte degli aerei del Gruppo ripartì per un'altra azione di bombardamento sulla Flotta italiana. Non c'ero più io, con questo secondo Gruppo, io partecipai soltanto al primo bombardamento. Non mi pare di ricordare che ci fosse uno speciale nome in codice per l'azione, e non ricordo nemmeno il nome di chi guidava questo secondo Gruppo di aerei. Quando anche i piloti di questo Gruppo furono ritornati a Istres-Marsiglia dissero che dallo schieramento mancavano due navi, e così sapemmo che le avevamo colpite, ma senza sapere che navi fossero, e neppure senza essere sicuri di averle affondate.



D.: Quanti erano gli aerei del secondo Gruppo, e che cosa ottennero con il loro bombardamento?

Jope: Mi pare che vi abbiano partecipato soltanto cinque aerei. I piloti sganciarono le loro bombe, una per ciascun aereo come tutti quelli del Gruppo, ma non colpirono nessuna nave.



D.: Ha mai avuto contatti con i sopravvissuti della Roma, e dell'Italia?

Jope: No, mai. Né durante la guerra, né al termine della guerra.



D.: Aveva già compiuto bombardamenti del genere?

Jope: Nel febbraio 1940 avevo affondato una nave da trasporto inglese, di circa 42.000 tonnellate, senza naturalmente impiegare bombe come I'FX 1400. Quello fu il mio miglior successo personale, per il quale fui decorato con la Croce di Ferro di Prima Classe.



D.: E per l'affondamento della Roma ricevette un'altra decorazione?

Jope: No. Ottenni la Croce di Ferro di Seconda Classe con le Fronde di Quercia verso la fine della guerra, nel 1944, per i successi che avevo ottenuto personalmente, e per tutti quelli conseguiti dal Gruppo che comandavo. Per tutta la durata della guerra ho partecipato, con il grado di maggiore, a circa 300 azioni di bombardamento contro il nemico.



D.: Ha ricevuto lettere di congratulazioni dai comandanti della Luftwaffe che si riferiscano al bombardamento della Roma, o documenti ufficiali che ne parlino?

Jope: No, non ho nulla, e non ricordo di averne mai ricevuto. Si era trattato di un'azione del tutto normale, e come tale fu sempre considerata da tutti.
 

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