La fine del Da Noli e del Vivaldi
Il 5 settembre il capo di Stato Maggiore generale, generale Vittorio Ambrosio, informò l’ammiraglio De Courten che l’armistizio sarebbe stato annunciato tra il 10 ed il 15 settembre, probabilmente il 12 od il 13 (il governo italiano, infatti, sperava di poterne procrastinare l’annuncio fino a quella data), e che verosimilmente la flotta si sarebbe dovuta trasferire a La Maddalena, in Sardegna, dove forse si sarebbero rifugiati anche il re, la famiglia reale e parte del governo. Il mattino del 6 settembre, Ambrosio confermò a De Courten che, qualora fosse stato impossibile mantenere a Roma il governo (era più che prevedibile, infatti, una violenta reazione tedesca alla notizia dell’armistizio, e non era stato predisposto – colpevolmente – alcun piano per la difesa della capitale), il re ed i vertici delle forze armate si sarebbero trasferiti a La Maddalena, dato che la netta superiorità delle forze italiane in Sardegna (130.000 uomini, a fronte di 32.000 tedeschi) garantiva che almeno quell’isola poteva considerarsi sicura dalla reazione tedesca, a differenza dell’Italia continentale. Chiese dunque a De Courten di mettere a disposizione della famiglia reale e del governo due cacciatorpediniere, due corvette e due mezzi veloci, per il loro trasferimento in Sardegna.
Nel frattempo si moltiplicarono le segnalazioni di movimenti delle forze navali Alleate (culminate nell’avvistamento, nel pomeriggio del 7 settembre, di una formazione di mezzi da sbarco Alleati in navigazione verso il Golfo di Salerno), che facevano presagire che l’annuncio dell’armistizio da parte degli Alleati sarebbe avvenuto probabilmente alcuni giorni prima del previsto, intorno al 7 od 8 settembre.
Conseguentemente, lo stesso 6 settembre Supermarina – per disposizione del capo del governo, maresciallo Pietro Badoglio – predispose un piano per il trasferimento da Roma a La Maddalena del re, di Badoglio, del governo (compresi i vertici delle forze armate) e del seguito, complessivamente una cinquantina di personalità. La scelta dei cacciatorpediniere destinati al trasferimento di re e governo cadde proprio su Da Noli ed il Vivaldi (che in quel momento era a Genova per iniziare un periodo di lavori), che formavano la XVI Squadriglia Cacciatorpediniere: Supermarina ordinò le due unità si trovassero a Civitavecchia a partire dall’alba del 9 settembre, pronti a muovere in due ore. Avrebbero dovuto imbarcare re e governo in fuga da Roma per portarli a La Maddalena (ovviamente, ai comandanti era stato genericamente parlato dell’imbarco di alti personaggi, senza rivelarne l’identità); al medesimo scopo, le corvette Gabbiano e Pellicano (poi ridotte alla sola corvetta Pellicano, che avrebbe imbarcato alcuni degli alti personaggi insieme ai due cacciatorpediniere) dovevano tenersi pronte a Gaeta, e due motoscafi veloci dovevano essere preparati a Fiumicino (sarebbero serviti, in base al piano predisposto dall’ammiraglio De Courten, per portare re e seguito fino a Civitavecchia).
Nel tardo pomeriggio/sera del 7 settembre, Supermarina ordinò al Comando delle Forze Navali da Battaglia di accelerare al massimo i preparativi per la partenza di Da Noli e Vivaldi, affinché si trovassero a Civitavecchia non più tardi delle otto del mattino del 9; quella sera stessa, Supermarina inviò al Comando FF. NN. BB. il messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) «Disponete C.T. VIVALDI et DA NOLI si trasferiscano subito relitto [Civitavecchia] restandovi pronti in sei ore (alt) TABELLA PISA (alt) 194507».
Alle 16.20 dell’8 settembre Supermarina trasmise un ordine, compilato alle 15.30, col quale disponeva che Da Noli e Vivaldi salpassero da La Spezia e Genova per arrivare a Civitavecchia alle otto del giorno seguente.
Alle 18 dell’8 settembre l’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante in capo delle forze navali da battaglia, convocò sulla corazzata Roma (ormeggiata a La Spezia col resto della squadra), sua nave ammiraglia, tutti gli ammiragli e comandanti a lui subordinati presenti a La Spezia. Tra i convocati vi era anche il capitano di fregata Pio Valdambrini, comandante del Da Noli.
Il giorno precedente, Bergamini aveva partecipato a Roma, presso il quartier generale della Marina, ad una riunione indetta dall’ammiraglio De Courten, il quale, pur non rivelando a nessuno dell’armistizio, aveva impartito una serie di disposizioni affinché le installazioni a terra si preparassero a respingere eventuali attacchi tedeschi e le navi si preparassero all’eventuale trasferimento in porti al di fuori della penisola italiana.
Agli ammiragli e comandanti riuniti sulla Roma, Bergamini annunciò che non avrebbe potuto riferire tutto quello che De Courten gli aveva detto, ma che erano imminenti gravissime decisioni da parte del governo, e che solo la Marina, tra le forze armate italiane, si poteva ritenere ancora integra ed ordinata. In caso di ricezione del telegramma convenzionale «Attuare misure ordine pubblico Promemoria n. 1 Comando Supremo», si sarebbe dovuto procedere alla cattura del personale tedesco presente a bordo per i collegamenti ed attuare l’allarme speciale, cioè preparare le navi a respingere qualsiasi colpo di mano proveniente dall’esterno. Bisognava anche prepararsi all’eventualità dell’autoaffondamento.
Al comandante Valdambrini, l’ammiraglio Bergamini confermò durante la riunione l’ordine di partenza per Civitavecchia, che fece confermare (per mezzo dell’ammiraglio Luigi Biancheri, comandante l’VIII Divisione Navale di stanza a Genova) anche al capitano di vascello Francesco Camicia, comandante del Vivaldi e caposquadriglia della XVI Squadriglia Cacciatorpediniere.
Poco dopo la conclusione della riunione, verso le 18.30, gli Alleati annunciarono infine l’armistizio di Cassibile con un proclama trasmesso da Radio Algeri, e poco più di un’ora dopo, alle 19.42, il maresciallo Badoglio confermò la notizia con un comunicato trasmesso dall’EIAR.
Il Da Noli salpò da La Spezia alle 22, diretto verso Civitavecchia. Alle 23.15 dello stesso 8 settembre, al largo dell’Isola del Tino (poco a sud di La Spezia), il Da Noli si riunì col Vivaldi, proveniente da Genova in condizioni di efficienza ridotta, accodandosi a quest’ultimo, ed insieme proseguirono per Civitavecchia.
Nel frattempo, tuttavia, paracadutisti tedeschi della 2. Fallschirmjäger-Division avevano stavano già occupando Ostia e Fiumicino: ciò rendeva impossibile imbarcare re e governo sui motoscafi per trasportarli fino a Civitavecchia. Di conseguenza, re e seguito abbandonarono l’idea di raggiungere la Sardegna e ripiegarono su un’altra alternativa per la fuga da Roma: anziché dirigersi a Civitavecchia, imboccarono la strada per Pescara, da dove poi raggiunsero Ortona, ove s’imbarcarono sulla corvetta Baionetta che li condusse a Brindisi.
La missione di Da Noli e Vivaldi veniva dunque a perdere il suo scopo: di conseguenza, alle 6.40 del 9 settembre, Supermarina ordinò ai due cacciatorpediniere – che intanto erano già giunti davanti a Civitavecchia – di invertire la rotta e tornare alla Spezia («Invertite la rotta e rientrare a La Spezia-064009», ricevuto alle 7), salvo correggersi alle 7.24 ordinando invece di cambiare rotta e dirigersi immediatamente verso La Maddalena («Modifica mio precedente ordine dirigete subito isola La Maddalena-072409», ordine ricevuto alle 7.43), dove doveva comunque trasferirsi il grosso della flotta proveniente da La Spezia e Genova, al comando dell’ammiraglio Bergamini.
Alle 10.38 Supermarina ordinò a Da Noli e Vivaldi di riunirsi al resto della squadra da battaglia («24997 – C.T. Vivaldi e C.T. Da Noli si riuniscano alla Squadra-092309»), ma subito dopo reiterò l’ordine «Modifica mio precedente ordine dirigete subito isola La Maddalena», mentre alle 14.14 dispose che passassero ad ovest della Sardegna e facessero rotta per Bona, unendosi, se possibile, alla squadra da battaglia («Vivaldi e Da Noli. Supermarina 97424-Proseguite per Bona aggregandovi possibilmente Forza Navale da Battaglia (alt) Milano – 132909»).
Nel frattempo, il Vivaldi aveva intercettato una comunicazione della corvetta Danaide a Supermarina, nella quale la nave riferiva che La Maddalena era stata occupata dalle forze tedesche.
Non destò dunque stupore, alle 14.33, il messaggio di Supermarina – telecifrato 87775 – che ordinava a Da Noli e Vivaldi di uscire dall’estuario della Maddalena verso ovest, e di affondare durante il passaggio tutti i mezzi tedeschi impegnati nel traffico tra Sardegna e Corsica («PAPA Cifr. 19 ter da Supermarina a Vivaldi et Da Noli p.c.Roma per FF.NN.BB. Uscite da estuario verso ponente ed affondate tutti i mezzi tedeschi che eseguono traffico Sardegna-Corsica alt Milano 134909»). Decifrato quest’ordine, i due cacciatorpediniere accostarono verso le Bocche di Bonifacio; alle 16 incontrarono proprio la Danaide ed un’altra corvetta, la Minerva, in navigazione da La Maddalena a Portoferraio. Le due corvette confermarono che i tedeschi avevano occupato La Maddalena.
Ciò che era accaduto era che il generale Carl Hans Lungerhausen, comandante della 90a Divisione tedesca di stanza in Sardegna, aveva concordato con il comandante militare dell’isola, generale Antonio Basso, la pacifica evacuazione delle sue truppe (32.000 uomini) verso la Corsica, attraverso il porto di La Maddalena. Il colonnello Hunäus (riportato erroneamente, dalle fonti italiane, come “Uneus”), sottoposto di Lungerhausen, aveva a sua volta preso accordi con l’ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante militare marittimo della Sardegna, affinché il passaggio delle truppe tedesche attraverso La Maddalena avvenisse senza atti di ostilità (ed in questo senso, d’altro canto, andavano gli ordini impartiti dal generale Basso all’ammiraglio Brivonesi); ma alle 11.25 di quel 9 settembre Hunäus aveva tradito l’accordo preso, attuando un colpo di mano con le sue truppe ed assumendo così il controllo di diverse posizioni chiave all’interno del perimetro della base. Le truppe tedesche avevano circondato anche il Comando Marina di La Maddalena, ponendo l’ammiraglio Brivonesi sotto scorta armata, praticamente prigioniero. Con il porto in mano loro, i tedeschi avevano iniziato il traghettamento delle loro truppe e del loro equipaggiamento attraverso le Bocche di Bonifacio, per mezzo di motozattere ed altri mezzi simili.
Alle 16.20, procedendo a 23 nodi con tre caldaie su quattro in funzione, Da Noli e Vivaldi imboccarono le Bocche di Bonifacio mantenendosi sulle rotte di sicurezza, con gli uomini ai posti di combattimento.
Poco prima di superare Razzoli vennero avvistati due natanti che, navigando in sezione, si dirigevano verso la Corsica. Alle 16.50, ridotte le distanze a 8-9 km, il Vivaldi aprì il fuoco con i cannoni da 120 mm contro i due mezzi tedeschi, identificati come una motosilurante ed una motozattera. Cessato il tiro contro la motozattera dopo alcune salve, dato che l’unità aveva invertito la rotta, appariva sbandata e faceva fumo, il Vivaldi riaprì il fuoco alle 17 contro una motosilurante e poi contro due motozattere, visibili sotto la costa della Corsica; a bordo si giudicò di aver messo vari colpi a segno sulle motozattere.
Anche il Da Noli, che non aveva visto le prime due unità dal lato opposto, aprì adesso il fuoco contro le unità tedesche visibili sul lato della Corsica. Si sviluppò un vivace combattimento.
Sull’esito di questo scontro le diverse fonti riportano notizie contrastanti. Il comandante del Vivaldi stimò alcune delle motovedette e motozattere tedesche fossero state affondate, altre danneggiate ed altre ancora costrette a riparare in costa. Il volume "La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto", dell’Ufficio Storico della Marina Militare, riferisce che, a quanto risulta, nessuna unità tedesca sarebbe stata colpita, ma soltanto inquadrata dal tiro italiano; ma sia lo storico Francesco Mattesini, nel suo saggio "L’armistizio dell’8 settembre 1943 e il dramma delle forze navali da battaglia" pubblicato sul Bollettino d’Archivio USMM, che il volume "Esploratori, fregate, corvette ed avvisi italiani" anch’esso dell’USMM, riportano invece che alcune delle motozattere sarebbero state danneggiate ed incendiate dal tiro di Vivaldi e Da Noli. Il libro "Struggle for the Middle Sea" di Vincent O’Hara, invece, identifica le unità ingaggiate da Da Noli e Vivaldi come un motodragamine tipo R-Boot e tre motozattere tipo Marinefährprahm, ed afferma che queste ultime sarebbero state costrette a portarsi ad incagliare in costa dal tiro delle navi italiane. Il ricercatore Platon Alexiades, sulla scorta di documenti tedeschi, ha scoperto che tra le unità ingaggiate dai cacciatorpediniere italiani vi erano almeno due motodragamine, l’R 198 e l’R 200 della 11. Raumboot-Flottille, forse le "motosiluranti" indicate nel rapporto del Vivaldi. Sempre in base alla documentazione tedesca da lui consultata, non si fa parola di perdite in relazione allo scontro nelle Bocche di Bonifacio, mentre viene riportata la perdita di sette unità affondate quello stesso giorno, poco lontano, dalla torpediniera Aliseo a Bastia.
Nel mentre, vennero avvistati diversi aerei che volavano a bassa quota lungo la costa corsa, restando al di fuori del tiro delle mitragliere contraeree dei cacciatorpediniere.
L’attacco contro le unità tedesche, oltre ovviamente alla reazione di queste ultime, causò anche la violenta reazione da parte di alcune batterie costiere da 88 mm site sulla costa meridionale della Corsica, il cui controllo era passato alle truppe tedesche (i loro artiglieri, appartenenti alle camicie nere, le avevano consegnate quel mattino a reparti tedeschi della 16. Flak-Division). Inizialmente non risultò possibile localizzare con precisione le batterie costiere per poter rispondere al fuoco.
Il Vivaldi, che aveva aumentato la velocità a 25 nodi ed aveva tentato di tenersi al largo rispetto alla costa (compatibilmente con la posizione delle mine), venne centrato da diversi colpi verso le 17.15, subendo numerose perdite tra l’equipaggio e seri danni all’apparato motore ed a parte dell’armamento. Alle 17.30 il Vivaldi si trovava immobilizzato, con incendi a bordo ed ancora sotto il fuoco di una delle batterie costiere.
La situazione del Da Noli, che aveva aperto anch’esso il fuoco contro le batterie costiere della Corsica (oltre che sui mezzi navali tedeschi), era relativamente migliore: sebbene raggiunto anch’esso da due colpi sparati dalle batterie costiere (uno lo colpì a poppa, all’altezza della linea di galleggiamento, e l’altro a prua, sotto il castello), il cacciatorpediniere non aveva subito né morti né feriti tra il suo equipaggio, ed i danni erano molto meno gravi di quelli riportati dal Vivaldi. Dopo essere stato colpito, il Da Noli si largò dalla costa e superando in velocità il Vivaldi sulla sinistra e verso sudovest, emettendo molto fumo, per portarsi fuori tiro rispetto alle batterie costiere. A bordo, l’equipaggio si mise al lavoro per tamponare la via d’acqua aperta dalla cannonata che aveva colpito la nave a poppa.
Alle 17.50 (altra fonte parla delle 17.20), all’improvviso, avvenne il disastro: il Da Noli urtò una mina, sollevando una grande colonna d’acqua biancastra, si spezzò in due a proravia della plancia ed affondò in pochi secondi, circa cinque miglia ad ovest del faro di Pertusato.
Il comandante Valdambrini, insieme a gran parte del personale presente con lui in plancia, rimase ucciso dall’esplosione (secondo un’altra fonte, invece, Valdambrini sarebbe stato visto in acqua dopo l’affondamento, ferito, ma comunque non sopravvisse); gran parte dell’equipaggio affondò con la nave, altri finirono in acqua o su zattere.
La mina urtata dal Da Noli apparteneva ad uno sbarramento (che contava in tutto 410 mine, disposte su tre file) posato a sud di Capo Fenu appena due settimane prima, il 26 agosto, dai posamine tedeschi Pommern e Brandenburg. Da Noli e Vivaldi non erano stati informati della presenza di tale campo minato, così il Da Noli vi si era inconsapevolmente infilato nel tentativo di sottrarsi al tiro tedesco, con tragiche conseguenze.
Dal Vivaldi vennero avvistati numerosi naufraghi in mare, e poco dopo anche una motolancia, in movimento vicino a delle zattere di salvataggio; ma il Vivaldi non era in condizione di prestare aiuto a nessuno, e poté soltanto comunicare a Supermarina ed al Comando Squadra (col radiosegnalatore, alimentato con batterie di riserva, dato che la radio principale era fuori uso) la notizia dell’affondamento del Da Noli e la posizione dei naufraghi. Il comandante Camicia descrisse così, nel suo rapporto, la fine dell’unità sezionaria: «Nel frattempo il DA NOLI, che ha preso parte al tiro contro le unità e le batterie dal lato della Corsica, sembra anch’esso colpito; si allarga dalla costa, mi sopravanza in velocità verso sud-ovest e fa molto fumo. Alle 17.50 una grande colonna d’acqua biancastra, come di esplosione di mina, avvolge il DA NOLI che spezzato in due al centro affonda. Si vede molta gente in mare e poco dopo anche una motolancia in moto vicino alle zattere di salvataggio. Avendo la radio principale inutilizzata, trasmetto con radiosegnalatore (alimentato con batterie di riserva) a Supermarina e al Comando Squadra l’affondamento e la posizione del DA NOLI e la posizione e le avarie del VIVALDI».
Più tardi, rimessa faticosamente in funzione una caldaia, il Vivaldi si diresse verso ovest-sudovest, per portarsi fuori tiro rispetto alle batterie costiere, dopo di che assunse rotta verso Minorca. Alle 19.15 il Vivaldi avvistò in lontananza l’incrociatore Attilio Regolo e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, in navigazione verso le Baleari con i naufraghi della corazzata Roma, affondata poche ore prima da aerei tedeschi nel Golfo dell’Asinara; seguì uno scambio di segnali col quale il comandante Camicia cercò di chiedere assistenza per la sua nave e soccorso per i superstiti del Da Noli, ma, causa una serie di equivoci e malintesi, non riuscì ad ottenere né l’una né l’altro.
Il cacciatorpediniere Mitragliere (capitano di vascello Giuseppe Marini), caposquadriglia della XII Squadriglia, ordinò alla torpediniera Pegaso (capitano di fregata Riccardo Imperiali) – anch’essa in navigazione verso le Baleari con naufraghi della Roma, ma separatamente – di andare a soccorrere il Da Noli. La torpediniera, tuttavia, venne attaccata ripetutamente da aerei tedeschi fino a notte fatta, ed in conseguenza finì col rinunciare all’operazione di soccorso: il suo comandante, avendo visto il Vivaldi in navigazione verso ovest e non sapendo che era gravemente danneggiato, pensò che avrebbe potuto occuparsene quest’ultimo. Secondo il libro "Le navi da guerra italiane internate alle Baleari dopo l'8 settembre" di Giuliano Marenco, che a sua volta cita la dettagliata opera "L’armistizio dell’8 settembre 1943 e il dramma delle forze navali da battaglia" di Francesco Mattesini, la situazione dei due cacciatorpediniere e la loro necessità di aiuto fu al centro di un terribile equivoco: per chiedere aiuto, il Vivaldi trasmise il messaggio «Procedo lento moto ho grandi avarie alt Da Noli affondato su mine», ma questo venne decifrato soltanto in parte, così che sul Mitragliere si lesse invece «Procedo lento moto ho grandi avarie su mine», perdendo la parte centrale del messaggio ed ogni riferimento al Da Noli. In conseguenza di questo incredibile malinteso, il comandante del Mitragliere trasse l’impressione che fosse il Vivaldi ad essere incappato in mine al largo di Capo Fenu e che avesse subito danni gravissimi, mentre ignorava del tutto la sorte del Da Noli. Poco dopo, avendo avvistato verso prua un cacciatorpediniere (era il Vivaldi, danneggiato, ma i cui danni non apparivano visibili data la grande distanza) e non sapendo che il Da Noli era affondato, il comandante del Mitragliere ritenne che si trattasse appunto del Da Noli, e che questi fosse rimasto indenne. Di conseguenza, il Mitragliere ordinò alla Pegaso di andare a soccorrere il Vivaldi, anziché il Da Noli, presso Capo Fenu. La torpediniera si diresse appunto verso Capo Fenu, ma dovette poi cambiare rotta per ragioni di sicurezza; proprio a seguito di questo cambiamento di rotta, s’imbatté nel Vivaldi, del quale intercettò alcuni messaggi in cui si diceva che esso era ancora in grado di sviluppare una velocità di 7 nodi, che gli avrebbe permesso di portarsi in costa; vedendo il Vivaldi navigare verso ovest, il comandante della Pegaso – che non sapeva che il Da Noli era affondato – ritenne che il cacciatorpediniere fosse in grado di cavarsela da sé e, in considerazione dei continui attacchi aerei, decise allora di abbandonare il tentativo di soccorso e di tornare a cercare il resto della squadra.
Alla fine, nessuno andò a salvare i naufraghi del Da Noli.
Erano una novantina gli uomini del Da Noli, alcuni dei quali feriti, che erano inizialmente sopravvissuti all’affondamento, finendo in mare: ma la maggior parte di essi avrebbe trovato la morte in mare. I naufraghi del cacciatorpediniere si trovavano vicinissimi alla costa della Corsica, ma nelle Bocche di Bonifacio soffiava un vento di levante che li allontanava dalla terra, anziché avvicinarli: lottando contro il forte vento contrario, i più finirono col soccombere, annegando prima di poter raggiungere la riva.
I primi naufraghi a raggiungere la costa ci misero quasi ventiquattr’ore per arrivarci: si trattava di 15 uomini su una lancia di salvataggio, quella di sinistra, che sbarcarono alle 17 del 10 settembre nei pressi della Stazione Segnali di Capo Senetosa. Tra di essi vi era il comandante in seconda del Da Noli, capitano di corvetta Danilo Silvestri, che aveva recuperato i 14 naufraghi (tre dei quali feriti) che era riuscito a raggiungere vogando faticosamente contro vento, fino a che il buio non gli aveva precluso ulteriori ricerche. Questi quindici uomini furono anche il gruppo più numeroso di naufraghi del Da Noli a toccare terra. A mezzanotte il gruppetto venne imbarcato su un motoveliero mandato da Ajaccio, che li condusse nel porto corso, dove giunse alle 4.30 dell’11 settembre recando anche il corpo di un naufrago (probabilmente uno dei 15 della lancia, deceduto successivamente), che venne sepolto ad Ajaccio.
Altri superstiti, a bordo di zattere di salvataggio, raggiunsero tra mille stenti la costa della Corsica nei 2-3 giorni seguenti; un gruppetto di quattro naufraghi, su una zattera, venne tratto in salvo alle 13 dell’11 settembre (per altra versione, la mattina del 13 settembre) da un motoveliero da pesca corso, che li portò in una delle Isole Sanguinarie, da dove poi raggiunsero Ajaccio.
Una volta a terra, il capitano di corvetta Silvestri sollecitò l’organizzazione di ricerche da parte del Comando Marina di Bonifacio: venne pertanto inviato un aereo di soccorso, ma non fu trovato nessun altro sopravvissuto. Tutti i naufraghi del Da Noli vennero imbarcati sulla corvetta Ibis e trasferiti a Porto Torres il 18 settembre, proseguendo poi per Cagliari.
Nei giorni seguenti il mare gettò sulle coste della Corsica le salme di sei o sette uomini del Da Noli; altri cadaveri, che galleggiavano in mezzo ai campi minati, non vennero recuperati perché le mine rendevano tale compito troppo pericoloso.
Sul numero di morti e sopravvissuti vi sono alcune discrepanze in base alle fonti, ma la triste certezza è che l’equipaggio del Da Noli perì quasi al completo, nell’affondamento della nave od in mare durante i giorni seguenti.
Secondo il citato volume dell’USMM "La Marina dall’8 settembre 1943 alla fine del conflitto", alla partenza da La Spezia erano imbarcati sul Da Noli 267 uomini, dei quali solo 39 sopravvissero, mentre morirono in 228, tra cui il comandante Valdambrini, altri 7 ufficiali e 22 sottufficiali.
Un recente saggio (2015) di Giuliano Manzari, "La partecipazione della Marina alla Guerra di Liberazione", pubblicato nel Bollettino d’Archivio dell’USMM, traccia un bilancio ancora peggiore: l’equipaggio del Da Noli sarebbe stato composto da 238 uomini (12 ufficiali, 25 sottufficiali, 19 sergenti, 37 sottocapi e 145 marinai), dei quali soltanto 18 sarebbero sopravvissuti, ossia 4 ufficiali, 3 sottufficiali, un sergente, 5 sottocapi e 5 marinai, mentre i morti sarebbero stati 220, di cui 8 ufficiali, 22 sottufficiali, 18 sergenti, 32 sottocapi e 140 marinai.
Nell’elenco dei caduti e dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale figurano i nomi di 223 uomini del Da Noli deceduti o dispersi a seguito dell’affondamento.
I loro nomi:
Santo Aiello, secondo capo meccanico, deceduto
Luigi Albiero, capo silurista di seconda classe, disperso
Luigi Alboretti, marinaio cannoniere, disperso
Angelo Aliprandi, marinaio cannoniere, disperso
Carlo Altieri, marinaio radiotelegrafista, disperso
Alberto Ambrosi, sergente cannoniere, disperso
Ezio Angelucci, marinaio fuochista, disperso
Armando Antonelli, marinaio S.D.T., disperso
Giannino Antoniacomi, sottocapo nocchiere, disperso
Duilio Antonucci, marinaio segnalatore, disperso
Raffaele Aricò, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Arman, capo meccanico di seconda classe, disperso
Giovanni Armuzza, tenente di vascello, disperso
Raffaele Avitaia, marinaio, disperso
Arturo Bagnasco, marinaio, disperso
Lorenzo Baiochi, marinaio meccanico, disperso
Giacinto Bani, marinaio meccanico, disperso
Costantino Bassi, sergente cannoniere, disperso
Fausto Bellotti, marinaio, disperso
Angelo Beretta, marinaio cannoniere, disperso
Ernesto Besio, marinaio fuochista, disperso
Fernando Bevilacqua, marinaio elettricista, disperso
Gildo Bianchi, marinaio, disperso
Francesco Biasco, sergente meccanico, disperso
Agostino Biggi, marinaio, disperso
Alide Bisaschi, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Bocchino, sottocapo cannoniere, disperso
Salvatore Brambilla, marinaio cannoniere, disperso
Salvatore Brigandi, marinaio fuochista, disperso
Stellio Brivonese, marinaio, disperso
Michele Bruno, marinaio fuochista, disperso
Salvatore Buda, marinaio, disperso
Leonida Burchianti, secondo capo S.D.T., disperso
Angelo Buzzetto, secondo capo meccanico, disperso
Benedetto Cabella, sergente cannoniere, disperso
Cirillo Caddeo, secondo capo motorista, disperso
Fausto Calbini, marinaio, disperso
Giovanni Caminiti, marinaio, disperso
Ferdinando Cammarota, secondo capo S.D.T., disperso
Giusto Campaner, sottocapo meccanico, disperso
Gioacchino Cancila, marinaio, disperso
Italo Candiotto, sergente cannoniere, disperso
Antonio Capone, marinaio motorista, disperso
Rinaldo Cappella, marinaio S.D.T., disperso
Mario Caralla, marinaio, disperso
Virgilio Carpani, sottocapo cannoniere, disperso
Biagio Casalini, marinaio fuochista, disperso
Bruno Caslini, marinaio cannoniere, disperso
Renato Castiglia, sottocapo cannoniere, disperso
Pietro Cavassa, marinaio, disperso
Luigi Cervini, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Ciccotti, marinaio S.D.T., disperso
Eugenio Collovigh, capo meccanico di terza classe, deceduto
Nicolò Colonna, sottocapo cannoniere, disperso
Lorenzo Conca, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Agostino Coratella, sergente cannoniere, disperso
Orlando Corbacella, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Salvatore Costa, marinaio, disperso
Carmine Crescitelli, marinaio nocchiere, disperso
Sante Crotti, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Cuccurullo, sottocapo cannoniere, disperso
Aldo Curcio, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Curto, sergente cannoniere, deceduto
Vincenzo D’Andrea, marinaio, disperso
Giuseppe D’Anna, marinaio cannoniere, disperso
Pasquale D’Auria, secondo capo furiere, disperso
Augusto Dallou, marinaio, disperso
Alighiero Dante, sergente furiere, disperso
Antonino Dattola, marinaio cannoniere, disperso
Angelo De Fareri, sottocapo meccanico, disperso
Pietro De Sario, secondo capo cannoniere, disperso
Arturo Debernardi, marinaio elettricista, disperso
Francesco Dentice, marinaio radiotelegrafista, disperso
Giuseppe Di Lorenzo, marinaio segnalatore, disperso
Giovanni Di Maio, marinaio fuochista, disperso
Bruno Di Nisio, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Di Vincenzo, sottocapo elettricista, disperso
Nevio Donatelli, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Donato, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Efisio Falchi, marinaio, disperso
Salvatore Farris, marinaio fuochista, disperso
Vito Fello, aspirante del Genio Navale, disperso
Giuseppe Ficara, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Florio, marinaio S.D.T., disperso
Giuseppe Formica, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Fregoni, marinaio, disperso
Massimo Frusteri, capo meccanico di terza classe, disperso
Emilio Galimberti, sottocapo fuochista, disperso
Guido Galli, sottocapo S.D.T., disperso
Franco Gandolfo, marinaio S.D.T., disperso
Vittorio Gavagnin, marinaio elettricista, disperso
Gian Roberto Genta, guardiamarina, disperso
Ettore Giampieri, serg. m. Genio Navale, disperso
Esterino Giannico, marinaio fuochista, deceduto
Rocco Gioffrè, capo meccanico di terza classe, disperso
Renato Girace, secondo capo furiere, disperso
Aldo Giribone, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Gismondi, sergente cannoniere, disperso
Vittorio Giuliani, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Angelo Gobbi, marinaio, disperso
Raffaele Goduto, sottocapo elettricista, disperso
Alberto Gori, marinaio, disperso
Rosario Grasso, marinaio, disperso
Adelio Grilli, marinaio segnalatore, disperso
Annibale Guerra, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Guida, marinaio, disperso
Silvano Guidi, sottocapo cannoniere, disperso
Primo Gullienszich, marinaio fuochista, disperso
Antonio Invernizzi, sergente elettricista, disperso
Claudio La Rocca, marinaio segnalatore, disperso
Mario Lambri, marinaio fuochista, disperso
Decimo Landini, sergente, disperso
Renato Lattanzi, marinaio radiotelegrafista, disperso
Romano Lazzari, capo nocchiere di seconda classe, disperso
Sergio Leardini, marinaio, disperso
Donato Lenuzza, sergente elettricista, disperso
Antonino Leotta, sottotenente del Genio Navale, disperso
Giuseppe Libri, marinaio carpentiere, disperso
Andrea Lieto, sottocapo cannoniere, disperso
Brenno Ligabue, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Lipari, guardiamarina, deceduto
Paolo Livorno, sottocapo S.D.T., disperso
Calogero Lo Biondo, marinaio, disperso
Alberto Lombardi, marinaio motorista, disperso
Spartaco Longoni, marinaio elettricista, disperso
Luciano Lubrano, marinaio fuochista, disperso
Attilio Lucchi, marinaio, disperso
Mario Managlia, marinaio, disperso
Olivo Marinari, marinaio cannoniere, deceduto
Tommaso Marolla, secondo capo cannoniere, disperso
Arturo Martincig, sergente cannoniere, disperso
Fernando Masini, marinaio cannoniere, disperso
Vito Matarese, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Mauri, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Mazza, sottocapo silurista, disperso
Alessandro Mazzoni, marinaio fuochista, disperso
Raffaele Meli, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Mellone, sottocapo elettricista, disperso
Isaia Mellone, sottocapo S.D.T., disperso
Ettore Micheloni, marinaio cannoniere, deceduto
Eugenio Minniti, sottocapo meccanico, disperso
Bruno Miori, marinaio, disperso
Silvestro Modesto, marinaio, disperso
Mario Moretti, marinaio fuochista, disperso
Aldo Moro, sergente nocchiere, disperso
Cesare Morra, marinaio fuochista, disperso
Alessandro Mozzali, marinaio silurista, disperso
Antonio Navarra, marinaio, disperso
Nereo Nicoli, capo furiere di terza classe, disperso
Gaspare Noto, marinaio, disperso
Giovanni Orsucci, marinaio radiotelegrafista, disperso
Lorenzo Pagano, marinaio, disperso
Placido Paladino, marinaio, disperso
Vito Antonio Palmisano, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Perdetti, marinaio cannoniere, disperso
Filippo Petruzzellis, sergente cannoniere, disperso
Mario Piccoli, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Pilotti, marinaio fuochista, disperso
Baldassare Pinetti, secondo capo cannoniere, disperso
Giuseppe Piras, marinaio cannoniere, disperso
Mario Pischedda, marinaio fuochista, disperso
Mario Polichetti, marinaio silurista, disperso
Vittorio Poni, sergente meccanico, disperso
Giuseppe Porchera, marinaio, disperso
Paolo Porrino, sottocapo torpediniere, disperso
Augusto Pricca, sottocapo meccanico, disperso
Salvatore Proietto, marinaio nocchiere, disperso
Pasquale Proscia, marinaio, disperso
Francesco Quartuccio, marinaio S.D.T., disperso
Pietro Paolo Rabboni, capo meccanico di prima classe, disperso
Eugenio Remondino, marinaio silurista, disperso
Vincenzo Renda, marinaio meccanico, disperso
Carmelo Repaci, marinaio, disperso
Felice Riboldi, marinaio, disperso
Angelo Riccò, marinaio cannoniere, disperso
Ortensio Riva, marinaio fuochista, disperso
Tullio Rossi, marinaio fuochista, disperso
Domenico Rotella, sottocapo S.D.T., disperso
Giovanni Ruggiero, marinaio, deceduto
Tommaso Ruggiero, marinaio, disperso
Eugenio Russo, marinaio, disperso
Michele Russo, tenente del Genio Navale, deceduto
Duilio Sabatini, marinaio fuochista, disperso
Francesco Saccomani, marinaio radiotelegrafista, disperso
Albano Sambin, secondo capo portuale, disperso
Attilio Sarzanini, marinaio, disperso
Romeo Savoia, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Sbarbaro, marinaio, disperso
Angelo Scaletta, marinaio, disperso
Salvatore Scamardella, marinaio nocchiere, disperso
Emilio Scardala, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Raffaele Scaringi, secondo capo nocchiere, disperso
Andrea Sciacqua, sergente S.D.T., disperso
Michele Scotto D’Abusco, marinaio nocchiere, disperso
Sergio Sebastianutti, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Secondo, marinaio, disperso
Antonio Sementa, secondo capo meccanico, disperso
Ignazio Serio, marinaio fuochista, disperso
Roberto Sibilio, marinaio meccanico, disperso
Pietro Silipigni, marinaio, disperso
Mario Simoni, sottocapo cannoniere, disperso
Cesare Soria, sergente infermiere, disperso
Giovanni Spena, sottocapo cannoniere, disperso
Virginio Tettamanti, marinaio fuochista, disperso
Ferruccio Tonello, marinaio S.D.T., disperso
Guido Torniai, marinaio, disperso
Domenico Tortora, marinaio, disperso
Gaetano Tregrosso, marinaio S.D.T., disperso
Rosario Trovato, marinaio, disperso
Domenico Uggeri, marinaio cannoniere, disperso
Danilo Ughi, sottocapo furiere, deceduto
Carmelo Vaccaro, marinaio fuochista, disperso
Pio Valdambrini, capitano di fregata (comandante), disperso
Vincenzo Valentini, marinaio S.D.T., disperso
Renzo Vaselli, marinaio nocchiere, disperso
Angelo Vasile, marinaio, disperso
Carlo Venturelli, capo elettricista di seconda classe, deceduto
Girolamo Verde, marinaio, disperso
Amos Vezzani, marinaio, disperso
Bruno Vianello, marinaio fuochista, disperso
Walther Vicinelli, marinaio fuochista, disperso
Arrigo Vigino, marinaio motorista, disperso
Cataldo Zaccaria, marinaio fuochista, disperso
Verso le 19 il Vivaldi poté rimettere in funzione una delle caldaie e, alla velocità di 10 nodi, cercò di allontanarsi, ma fu nuovamente attaccato da bombardieri tedeschi Dornier Do 217 prima delle 20: nonostante la reazione delle artiglierie contraeree della nave, una bomba radioguidata Henschel Hs 293 colpì l'unità arrecandole ulteriori danni.
Appruato e quasi fermo a mezzanotte, il Vivaldi continuò nella sua sempre più difficoltosa navigazione, ma alle 5:30 del 10 settembre, dopo aver passato l'Asinara, non potendo più proseguire, fu dato l'ordine di abbandonare la nave e di autoaffondarla. Due membri dell'equipaggio, il capitano di corvetta Alessandro Cavriani (assistente di squadriglia) ed il capo meccanico Virginio Fasan, tornarono a bordo per accelerarne la fine, ma scomparvero entrambi con la nave che colava a picco una cinquantina di miglia ad ovest dell'Asinara: alla loro memoria fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare.
I naufraghi del Vivaldi andarono poi incontro ad una sorte molto travagliata. Un idrovolante tedesco recuperò 23 superstiti che furono portati in Corsica; altri tre idrovolanti anch'essi tedeschi, ammarati per recuperare i naufraghi, furono mitragliati, incendiati e distrutti da un aereo statunitense (in tale mitragliamento rimasero uccisi alcuni naufraghi, indicati a seconda delle fonti in due o 13). All'1:30 dell'11 settembre una motovedetta tedesca salvò altri 47 naufraghi insieme agli equipaggi degli aerei distrutti, mentre un idrovolante statunitense ne recuperò altri due o quattro.
44 superstiti del Vivaldi e (in maggioranza) del Da Noli furono recuperati dal sommergibile HMS Sportsman nella serata del 12, mentre altri 7 uomini furono salvati il 16 settembre dalla motozattera MZ 780, che li portò a Mahón. 89 superstiti raggiunsero il territorio spagnolo.
In tutto tra l'equipaggio del Vivaldi si ebbero 58 morti e 240 sopravvissuti (altre fonti indicano invece 90 tra morti – 56 – e dispersi – 34 – e 190 sopravvissuti).
Il relitto del Da Noli è stato localizzato per caso nel 1975 dal corallaro Giovanni Spigno, di Santa Teresa di Gallura. Questi, pescando corallo nelle Bocche di Bonifacio con una "croce di Sant’Andrea", trovò la "croce" piena di proiettili ed informò immediatamente le autorità, che alcune settimane più tardi inviarono sul posto la nave appoggio incursori Pietro Cavezzale, la quale procedette all’identificazione del relitto.
A quanto risulta, la prima immersione di subacquei sul relitto del Da Noli sarebbe avvenuta soltanto nel settembre del 2009; stranamente, sono circolate notizie sul "ritrovamento" del cacciatorpediniere nel maggio 2013, benché la sua posizione fosse già nota da diversi anni.
Il Da Noli giace spezzato in due tronconi su un fondale sabbioso, a 5,85 miglia dalla costa corsa e ad una profondità compresa tra i 93 ed i 108 metri.
Nel luglio 2016 un gruppo di subacquei, guidato da Mario Arena, ha deposto sul relitto del cacciatorpediniere una targa donata dal Comune di Noli, paese natale del navigatore eponimo della nave. La targa recita «In memoria degli oltre 200 marinai che persero la vita nel compimento del loro dovere» e riporta il motto del Da Noli: «Prendimi teco a l'ultima fortuna».