8 settembre pomeriggio a La Spezia
ore 18.30
Corazzata Roma
Il Comando in Capo delle FF.NN.BB. intercettava la comunicazione di Radio Algeri con la quale il generale Eisenhower annunciava l’avvenuto Armistizio tra l’Italia e gli Alleati. L’ammiraglio Bergamini apprendeva così inaspettatamente via radio, l’avvenuta firma di un Armistizio.
L’ammiraglio Bergamini riunì immediatamente l’ammiraglio Caraciotti e il suo Stato Maggiore per l’esame della situazione e per prendere le relative decisioni, che furono orientate verso l’autoaffondamento, tenendo presente anche quanto comunicato da Supermarina alle 13.30
ore19.45
Poco dopo il termine di tale riunione, egli sentì alla radio il proclama del maresciallo Badoglio. Stabilì pertanto di recarsi sulla Vittorio Veneto (unica unità che aveva appositamente lasciato ormeggiata alle boe della diga foranea, perché consentivano di mantenere il collegamento telefonico con la terra), per parlare con l’ammiraglio de Courten. Dispose inoltre affinché venisse indetta una riunione degli ammiragli e dei comandanti dipendenti da tenersi alle ore 22.00 sulla Vittorio Veneto. Si recò quindi su tale unità.
Il colloquio con l’ammiraglio de Courten poté avvenire solo alle 20.30.
L’ammiraglio de Courten così riferisce nelle sue “Memorie”
“Mentre cercavo di prendere contatto telefonico con l’ammiraglio Bergamini, egli, che all’annuncio dell’Armistizio ricevuto dalla radio si era portato sulla corazzata Vittorio Veneto, sede del Comando della 9a Divisione, mi stava chiamando”.
L’ammiraglio Bergamini inizialmente esternò la sua indignazione per non essere stato informato il giorno prima della avvenuta conclusione dell’Armistizio, considerando tale atteggiamento come una mancanza di fiducia nei suoi riguardi. Chiedeva quindi di essere esonerato dal Comando in Capo delle FF.NN.BB. Fece comunque presente che non era sua intenzione condurre nei porti alleati le sue navi e che il suo intendimento, nonché quello del suo Stato Maggiore, era di autoaffondare le navi, così come previsto da Supermarina. Egli aveva inoltre convocato a rapporto, alle ore 22.00 sulla Vittorio Veneto, gli ammiragli sottordini ed i comandanti delle Unità Navali dipendenti, per valutare le decisioni da prendere; riteneva che anche i suoi ammiragli e comandanti fossero orientati verso l’ipotesi dell’autoaffondamento.
Scrive de Courten:
"Gli illustrai la situazione, quale era stata rilevata anche a me nella sua crudezza, ponendomi di fronte al fatto compiuto che prima mi era noto solo in parte, col vincolo del segreto. Gli esposi l’andamento della riunione svoltasi presso il Sovrano, la quale si era chiusa con l’ordine del Comandante Supremo delle Forze Armate [il Re] di eseguire lealmente le dure clausole armistiziali, ordine che certamente era costato al di Lui cuore almeno quanto pesava sul nostro. Gli accennai al successivo incontro con il Capo di Stato Maggiore Generale ed all’esistenza di un documento, da questi comunicatomi [il documento di Quebec], dal quale risultava essere questa la via per dare in avvenire possibilità di vita e di ripresa al popolo italiano, con una certa garanzia da parte dei capi della coalizione anglo-americana. Erano queste le considerazioni che mi inducevano a ritenere necessaria la leale esecuzione delle clausole concordate ed accettate. Gli accennai pure in via generica che l’Armistizio prevedeva il trasferimento della Flotta in zone controllate dagli anglo-americani oltre Bona, con misure precauzionali di sicurezza, ma con il rispetto dell’onore militare. Aggiunsi che conveniva sottrarre a/più presto le navi, non solo al pericolo di un intervento tedesco, che poteva manifestarsi da un momento all’altro, ma anche alla influenza deleteria dell’ambiente di terra ed alle ripercussioni di contatti e discussioni fra Stati Maggiori ed equipaggi di unità diverse. Poiché l’ora avanzata non avrebbe ormai consentito di lasciare le basi navali se non dopo la mezzanotte (e quindi non avrebbe permesso di seguire la procedura del Documento Dick, la quale prevedeva l’arrivo in ore diurne nelle acque di Bona), gli dissi di prepararsi a partire non appena possibile per La Maddalena, dove era già stato predisposto per l’ormeggio e dove gli avrei fatto trovare il testo esatto delle clausole armistiziali e dei documenti connessi, nonché le istruzioni di dettaglio per gli ulteriori movimenti.
Con quella prontezza di percezione e di decisione che gli erano caratteristiche, l’ammiraglio Bergamini entrò subito nello spirito delle argomentazioni che gli avevo diffusamente esposto e mi rispose che comprendeva l’intimo significato ed il profondo valore, condividendo le conclusioni alle quali ero giunto, nonostante i durissimi sacrifici per tutti che erano in esse impliciti. Egli mi assicurò che entro breve termine mi avrebbe riferito sui risultati della riunione da lui convocata, affermando che avrebbe svolto la propria opera per convincere tutti sulla necessità di attenersi agli ordini del Sovrano.
Questo breve e drammatico colloquio, svoltosi tra le 20.30 e le 21.00 mi diede un certo senso di tranquillità”.
ore 21.30
L’ammiraglio de Courten decise di recarsi a casa del Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, che godeva di una profonda stima presso la Marina ed era considerato un “esempio del sentimento dell’onore militare” per esporgli la situazione e avere la sua opinione. L’ammiraglio Thaon di Revel ascoltò attentamente de Courten, si raccolse per qualche minuto in silenziosa meditazione e poi si rivolse a de Courten con queste parole:
"La Marina deve eseguire gli ordini di Sua Maestà"
ore 22.00
Corazzata Vittorio Veneto
Il capitano di vascello Carlo Tallarigo, comandante dell’incrociatore Eugenio di Savoia, così riferisce sulla riunione:
“[...] L’ammiraglio Bergamini, fatto un rapido commento sul comunicato dell’Armistizio trasmesso dalla Radio, raccomandò ai Comandanti che non l’avessero già fatto, di riunire gli equipaggi e spiegarne il significato.
Quindi comunicò che le unità delle F.N. in grado di muovere, dovevano, all’ordine che si attendeva dal Centro, trasferirsi alla Maddalena, e che prima di partire occorreva rifornirsi di viveri dalla sussistenza nella maggiore quantità possibile.
Non dette altre comunicazioni in merito alla dislocazione delle navi [in quanto a lui non nota perché gli sarebbe stata comunicata alla Maddalena]. Poi, forse per togliere ogni eventuale dubbio dalla mente dei presenti, parlò della necessità che la forza della Marina rimanesse compatta nello spirito e nella decisione, in quanto essa poteva costituire il più saldo elemento per la ricostruzione della Patria e concluse pronunciando all’incirca le seguenti parole: E’ dovere di ognuno di noi di ubbidire ciecamente agli ordini delle Autorità centrali in quanto esse sole posseggono gli elementi per giudicare la situazione che si è determinata e scegliere la giusta strada da seguire. Noi tutti dobbiamo essere pronti a compiere ogni sacrificio, anche se esso dovesse andare al di là delle nostre vite.
Infine, in risposta ad una domanda rivoltagli da qualche Comandante o di propria iniziativa, disse che non si poteva escludere che le navi fossero attaccate tanto dai tedeschi che dagli alleati e che pertanto bisognava essere pronti a reagire ad ogni offesa, da chiunque fosse pervenuta [...]“.
E così riferisce, su tale riunione, il capitano di fregata Marco Notarbartolo di Sciara, comandante dell’incrociatore Attilio Regolo
“[...] Sul Vittorio Veneto trovo già gli ammiragli e parte dei comandanti. Alle 22.30 circa, arriva l’amm. Bergamini che ha l’aria commossa. Ci dice che, mentre devono cessare le ostilità con gli anglosassoni, è imminente che si inizi un gravissimo contrasto con la Germania. La Marina italiana in 40 mesi di guerra, ha fatto tutto il suo dovere: nessuna delle FFAA. ha obbedito e dato quanto la R. Marina. E necessario che anche in questo periodo di transizione la Marina continui a mantenere elevate le sue tradizioni e a servire il Paese. Gli equipaggi sono stati sino ad ora esempio di sacrificio e di dovere. Tutti hanno sempre dato, in ogni momento e in ogni luogo, il massimo delle proprie possibilità, fino all’estremo sacrificio per il bene della Patria. L’unica risorsa è mantenere intatto lo spirito delle Forze Armate, specie della Marina, che in questi 40 mesi di lotta ha dato 12.000 morti e circa 40.000 dispersi. Solo così facendo si potranno, un giorno, ricostruire su queste basi rimaste intatte, le novelle fortune dell’Italia. L’amm. Bergamini ci informa, inoltre, che era in attesa di una comunicazione telefonica da Roma e che ci avrebbe riuniti il giorno successivo per ulteriori comunicazioni”.
Sempre sulla stessa riunione il capitano di vascello Marini, comandante del cacciatorpediniere Mitragliere e della 12a Squadriglia cacciatorpediniere così riporta:
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informa che i tedeschi delle navi sono stati ordinatamente sbarcati;
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conferma le istruzioni impartite nel pomeriggio;
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informa che non sa ancora quali ordini saranno impartiti per le FF.NN.BB. di partenza o meno, per trasferirsi eventualmente in Sardegna o altrove;
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informa che il ministro della Marina, ammiraglio de Courten è stato convocato alle 22.00 dal maresciallo Badoglio per istruzioni; che egli, ammiraglio Bergamini, parlerà successivamente per telefono con l’ammiraglio de Courten, e, nella riunione dell’indomani mattina trasmetterà ai Comandanti eventuali nuove comunicazioni”.
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Il capitano di fregata Antonio Raffai, comandante del cacciatorpediniere Velite così riferisce
“[...] L’ammiraglio Bergamini riunì nella Sala Consiglio tutti i comandanti insieme ai componenti del suo Stato Maggiore. Comunicò a tutti gli ordini di Sua Maestà, trasmessigli dall’ammiraglio de Courten, sottolineando l’importanza e la gravità delle decisioni da prendere.
Ricordo che l’ammiraglio Bergamini disse che non si trattava di una resa e che la Bandiera non sarebbe stata ammainata sulle navi [...]“.
ore 23.00
Bergamini contattò l’Arsenale ed i Comandanti delle navi che pur essendo ai lavori potevano però “essere approntabili rapidamente” come da ordini ricevuti da Supermarina. Stabilì quindi che le due unità che potevano partire con lui erano l’incrociatore Attilio Regolo - che doveva terminare i lavori il 25 settembre, ma che aveva già fatto un’uscita in mare di tre ore il 4 precedente per prove progressive dell’apparato motore - nonché il cacciatorpediniere Artigliere, che era uscito l’8 pomeriggio dal Bacino dove aveva fatto lavori di carenaggio, anche se doveva effettuare ancora dei piccoli lavori.
Successivamente chiamò l’ammiraglio de Courten che così riporta il colloquio
“Poco prima delle 23.00 il campanello del telefono trillava di nuovo. Era l’ammiraglio Bergamini che mi dava la risposta tanto attesa. Egli concluse e riassunse nel breve dialogo - nel corso del quale gli confermai l’urgenza di lasciare al più presto le acque di La Spezia e l’impegno alleato di rispettare l’onore e la dignità della Marina ed il concordante giudizio del Grande Ammiraglio - con queste semplici parole: “Stai tranquillo, fra poche ore tutta la Squadra partirà per compiere interamente il proprio dovere; tutte le navi in grado di muovere, anche con una sola elica, partiranno con me. Erano le ultime parole che dovevo udire dalle labbra di quella nobile ed alta figura che, dopo aver animato e potenziato con le parole e con l’esempio tutte le organizzazioni affidate alla sua multiforme attività, dopo aver lasciato un’impronta incancellabile della sua personalità, del suo cuore buono e generoso, della sua semplice dedizione al bene comune, era destinato a chiudere, poche ore dopo, la sua giornata terrena, immolandosi con fedele devozione a quegli alti ideali di italianità e di senso del dovere e del sacrificio, che avevano ispirato tutta la sua vita. La comunicazione dell’ammiraglio Bergamini fu accolta con un senso di sollievo anche dai miei più vicini collaboratori, che continuavano a svolgere, dal mio ufficio del Ministero, la loro fervida opera”
ore 00.30
L’ammiraglio Bergamini si premurò di telefonare nuovamente all’ammiraglio Biancheri a Genova, il quale così riferisce tale telefonata:
“Ultima telefonata con Bergamini alle ore 00.30; è anche Egli amareggiato, però obbedisce e mi dice che mi parlerà a lungo alla Maddalena”.